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L’oscuro incidente del passo Djatlov

E’ possibile che nove persone, escursionisti esperti, vaghino mezzi nudi e scalzi per la tundra russa, il 2 di febbraio con 30 gradi sotto zero?

E’ possibile che nove persone, escursionisti esperti, vaghino mezzi nudi e scalzi per la tundra russa, il 2 di febbraio con 30 gradi sotto zero? Si. E’ quello che successe il 2 febbraio 1959, sul versante orientale del Cholatčachl’, sui monti Urali, a un gruppo di nove giovani escursionisti, studenti e laureati dell’istituto politecnico degli Urali.

La spedizione era partita il 25 gennaio e aveva l’obiettivo di raggiungere ed esplorare l’Otorten, un monte che si trovava a 10 chilometri da dove furono ritrovati i nove cadaveri.
Furono ritrovati quasi un mese più tardi, in condizioni pietose. La loro tenda era distrutta, squarciata dall’interno. All’esterno c’erano delle orme sulla neve, che andavano in direzione del bosco, ma che sparivano dopo 500 metri. Poco più lontano i soccorsi ritrovarono i resti di un fuoco e sotto un grande albero due dei nove corpi appartenenti a Jurii Krivoniščenko e Jurij Dorošenko, con solo la biancheria intima addosso, senza nemmeno le scarpe.
Tra la tenda e i boschi furono ritrovati gli altri tre corpi di Igor Djatlov (il capo della spedizione), Zina Kolmogorova e Rustem Slobodine e infine il 4 maggio, tre mesi dopo, furono scoperti gli ultimi quattro escursionisti, sepolti sotto quattro metri di neve, ricoperti di brandelli dei vestiti degli altri, con dei gravi traumi interni e una di loro senza lingua.
Non c’erano segni di lotta né sui corpi dei ragazzi e né intorno, nell’accampamento. I referti dell’autopsia sottolineano che il cranio fracassato di Nicolas Thibeaux-Brignollel e la cassa toracica compressa fino a spezzare le costole di Alexander Zolotariov e Ludmila Dubinina, non sono stati causati da una lotta con altri esseri umani, ma la forza necessaria per causare quelle fratture doveva essere simile a quella di un incidente stradale.

Inoltre fu rilevato un altissimo tasso di radiazioni sui vestiti delle vittime.

Altri escursionisti accampati 50 chilometri più a sud, quella stessa notte videro in cielo strane luci arancioni e blu che formavano come delle sfere.
Successivamente venne appurato che si trattava di lanci di missili balistici R-7, operazione su cui l’aviazione militare russa aveva preferito mantenere il riserbo.

Cosa successe quella notte? Cosa costrinse i nove ragazzi a fuggire così velocemente da non avere nemmeno il tempo di vestirsi?

L’ipotesi più probabile è che i ragazzi stessero andando incontro all’ipotermia, sviluppando un particolare fenomeno l’ “undressing paradossale”, che li costrinse a spogliarsi per una paradossale, appunto, sensazione di calore, quanto in realtà la temperatura corporea continuava a scendere, con conseguente delirio e panico.

Oppure è stata avanzata l’ipotesi che i nove escursionisti siano stati vittime di una violentissima tempesta, che, data la particolare conformazione morfologica delle montagne, abbia creato dei mini tornado che hanno scaraventato i ragazzi lontano dalle tende. Inoltre il fortissimo vento avrebbe sviluppato una gran quantità di infrasuoni che hanno generato nei giovani, perdita di lucidità, mancanza di fiato e terrore, fino ad arrivare alla follia.

Quindi, alla luce di queste ipotesi, che restano quelle più ovvie e accreditate, imputabili a fattori naturali, perché il caso fu chiuso molto velocemente (nello stesso maggio 1959) per “assenza di colpevoli”, con il verdetto che le morti erano state causate da un’ “irresistibile forza sconosciuta”, quando c’erano ancora molti particolari su cui far luce?
E perché i documenti e i reperti vennero immediatamente sigillati e addirittura alcuni di essi andarono perduti?
Cosa stavano facendo in quella radura con quei missili i russi?
La mancanza di superstiti non ci ha permesso di avere delle risposte a tutto ciò.

 

 

Fonte per le foto: Pixabay

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