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I Moai e l’enigma dell’isola di Pasqua

Esploriamo il mistero dell’Isola di Pasqua e della sua attrazione più caratteristica: i Moai. La loro imponenza e la loro mai ben spiegata funzione, fanno di questo mistero uno dei più interessanti e ricchi di infiniti riferimenti! #grandimisteri

L’isola di Pasqua è sicuramente uno tra i luoghi che per tradizione si possono definire avvolti nel mistero. In tantissimi, tra studiosi e appassionati, ogni anno si recano in questo luogo per cercare studiare il principale mistero dell’Isola Cilena, i cosiddetti Moai.

Questa particolare isola fu scoperta dall’olandese Jakob Roggeveen, nel giorno di Pasqua del 1722, (ecco perché è chiamata con quel nome) e i Moai il simbolo di quest’isola non sono altro che delle statue intagliate nel tufo che gli indigeni che abitavano l’isola hanno costruito.

Le statue sono tantissime e i 150 Moai più famosi si trovano sepolti fino alle spalle sul fianco di un vulcano. In alcuni casi la loro figura spunta completamente dalla terra per altre invece copre la statua fino alla testa. Si stima che il monolite più alto, noto come Paro, si erga per circa 10 metri dal suolo.

Inizialmente il mistero di quest’isola era dovuto all’arcano sulla creazione e all’errore di alcuni studiosi che per primi arrivarono sull’isola. La loro tesi sosteneva che durante il periodo di creazione delle statue non ci fossero sull’isola abbastanza persone per spostare pesi simili. In aggiunta gli esploratori avevano notato che sull’isola non vi era la presenza di alberi a fusto grande e che senza l’utilizzo di questi ultimi come potevano le antiche popolazioni trasportare le statue?

La risposta arrivò da parte dell’esploratore Thor Heyerdahl nel 1955. Localizzate le cave dove giacevano diverse statue, in parte scolpite, furono ricostruiti i percorsi usati per trasportarle fino alle piattaforme dove sorgevano i moai. Inoltre Analizzando i pollini depositati nei tre laghi dell’isola, gli archeologi hanno ricostruito i mutamenti ambientali di quel luogo, confermando che un tempo l’isola era coperta di foreste. I pollini rivelarono che le piante scomparse erano palme del Cile, che crescono fino a 20 metri d’altezza e hanno un fusto di 90 centimetri di diametro.

Fu stimato che un’intera statua richiedeva almeno un anno per essere scolpita e che per il trasporto fosse necessario il lavoro di 180 uomini. La statua veniva fatta scorrere su rulli e per sollevarla e posizionarla sul basamento in pietra si usavano grandi tronchi usati come leve.

A questo punto se il mistero è risolto vi chiederete come mai un articolo su queste statue, senza nessun particolare dubbio o incertezza, almeno nell’ambito del nostro blog. La risposta è presto detta: dopo anni di ricerche, gli studiosi dibattono ancora sul loro scopo che rimane tuttora senza alcuna certezza.

Secondo gli studi più recenti, le statue sarebbero la rappresentazione dei capi tribù indigeni morti e, secondo la credenza popolare, avrebbero permesso ai vivi di prendere contatto con il mondo dei morti.

Alcune statue possiedono infatti sulla testa un cilindro (pukao) ottenuto da un tipo di tufo di colore rossastro, interpretato come un copricapo oppure come l’acconciatura un tempo diffusa tra i maschi.

Ora per un attimo lasciamo le solide basi dei dati storici e avviciniamoci sempre più alle teorie speculative.

Secondo un’altra leggenda queste statue non avrebbero un legame col mondo dei morti ma con gli dei. La leggenda narra che dal cielo giunsero degli uomini uccello (Tangata manu) che potevano volare. Il loro capo si chiamava Makemake e, secondo la mitologia locale, era il creatore dell’umanità, il dio della fertilità e la divinità principale del culto dell’uomo uccello. La sua immagine è stata scolpita su alcune rocce presenti sull’isola. I colossi di pietra si muovevano grazie a una forza misteriosa che solo due sacerdoti erano in grado di controllare. Un giorno, però, i due sacerdoti scomparvero e da lì il lavoro di costruzione delle statue fu sospeso. È il motivo per cui una schiera di statue è rimasta incompiuta. Gli studiosi fanno coincidere questo momento con l’anno 1500.

Questa leggenda, per quanto sia da ritenere frutto del mito e dell’immaginazione degli indigeni, si avvicina in un modo quasi calzante alla teoria degli antichi astronauti.

Secondo tale teoria, la specie umana avrebbe avuto contatti con extraterrestri sin dalle ere più antiche, influenzando la loro condizione, la loro tecnologia fino anche i loro miti. Secondo alcuni studiosi questi alieni sarebbero le divinità delle civiltà antiche, raffigurati addirittura nelle loro opere d’arte. Altri indizi della presenza di extraterrestri in epoche passate sarebbero celati in testi religiosi, come la Bibbia e il Rāmāyaṇa, o in opere letterarie di carattere epico. Sono stati individuati siti archeologici che testimonierebbero il contatto tra la specie umana e visitatori extraterrestri, in cui la perizia costruttiva sarebbe la conseguenza dell’uso di tecnologie aliene. Gli ufologi, e in particolare i clipeologi, citano i siti di Giza, Baalbek, Yonaguni, le Linee di Nazca, i monoliti di Stonehenge, oltre a incisioni rupestri e statuette rinvenute nelle Americhe, nelle isole del Pacifico. Le popolazioni umane primitive avrebbero visto le forme di vita aliene come “angeli”, “spiriti”, “dei” o “semidei”.

Ovviamente la teoria degli antichi astronauti non è sostenuta da alcuna prova riconosciuta dalla comunità scientifica ma per quanto la mia visione sull’argomento sia sempre pragmatica e scientifica, non ho potuto non notare questa particolare similitudine e se anche rimanesse una semplice coincidenza, qualche dubbio e comunque un leggero dibattito lo solleva.

Possono davvero i moai essere stati creati da visitatori alieni in tempi remoti?

 

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